Per Silvia, specializzanda in psicoterapia, la parola DANZA racchiude perfettamente la sua esperienza a Villa Ratti, che racconta così:

Riassumerei la mia esperienza di tirocinio di specializzazione in Villa Ratti con la parola danza: un po’ perché ho appena riletto quella parte del manuale “Trattamento cognitivo-comportamentale del disturbo borderline” (Marsha M. Linehan, 2011) in cui si parla proprio di come la terapia dialettico-comportamentale sia come una danza in cui «Bisogna corrispondere al partner, stargli vicino e seguirne le movenze, cercare di spingerlo un po’ oltre il suo equilibrio, continuando però a tenerlo con una mano per fornirgli una guida stabile e permettergli di rilassarsi e farsi trasportare dalla musica».

Un po’ perché io, il Dottor Damiano l’ho visto davvero danzare in quello studio!
Una danza sulle note delle emozioni, delle parole e delle non parole che gli ospiti ci hanno regalato.

Sono stata fortunata ad essere accolta nel cuore del lavoro di terapia individuale, durante i lavori in corso, quando la fatica e la sofferenza erano tante e si affrontavano e quando non se ne aveva assolutamente voglia.

Per fortuna, la voglia di entrare in quello spazio denso non mi è mai mancata.
All’inizio uscivo dalla stanza con le mani sudate e la testa affaticata, per non aver fatto nulla poi se non osservare con attenzione…ma quella danza mi prendeva, era impossibile distrarsi un solo attimo.

Tra i tanti che ho in mente, ricordo in particolare un momento in cui abbiamo condiviso con un’ospite in difficoltà (e chi non lo è, dannate relazioni??) alcuni requisiti importanti da tenere a mente nella scelta di un partner, soprattutto per quelle donne che hanno la tendenza a cercare partner
svalutanti/maltrattanti.
L’elenco diceva:

  • che sia rispettoso (fisicamente e verbalmente);
  • che svolga attività lavorativa o di studio;
  • che sia attraente;
  • che sia divertente;
  • che ricambi
  • che non abbia dipendenze da sostanze o da gioco.

Io per prima non me li sono dimenticata e li custodisco con cura, perché il confine tra compiere scelte adattive e disadattive è labile per tutti… e allora non ci resta che aggrapparci all’abilità di “pensarci su”, a quella cosa chiamata metacognizione che, come una mongolfiera, può aiutarci a staccare i piedi dalla pesantezza della terra e a guardarla un po’ dall’alto.

Con il passare dei mesi ho imparato a muovere i primi passi, il mal di testa è gradualmente diminuito, ma le emozioni sono rimaste in prima linea: ben presenti a ricordarci che lavoriamo con quelle degli ospiti, ma anche con le nostre.

Silvia Busti